sabato 27 dicembre 2014

La pecora arrosto alla cena della vigilia di Natale

Cena della vigilia: la pecora arrosto come la si fa a Orgosolo (Nuoro)
Alla cena della vigilia di Natale ho potuto assistere alla preparazione della pecora arrosto. Mi trovavo a Orgosolo, paese in provincia di Nuoro, in compagnia di parenti e amici di mio marito, persone simpaticissime e padrone come non mai di una cucina antica e dal sapore genuino. L'anno scorso prepararono il noto porceddu, ma quest'anno mi hanno stupito con un mito dell'alimentazione sarda, la pecora. “La pecora è più tenera del montone – mi hanno spiegato – ma deve essere magra; noi usiamo quelle vecchie, che hanno già dato latte e lana, e provengono dai pascoli delle zone qui intorno della Barbagia, dove viene allevata in libertà e mangia le nostre erbe mediterranee”. 

La pecora arrosto richiede tre ore di lenta cottura
La pecora richiede un rituale lungo ed elaborato ma la morbidezza e la delicatezza finale della carne meritano tanta attenzione!
A Orgosolo cucinano pecore del territorio allevate all'aperto e che mangiano esclusivamente erba di campo
Ero entusiasta del senso ecologico della questione, perché un po' come il maiale, anche della pecora non si butta via niente. Tuttavia temevo di imbattermi in una carne duretta, troppo matura da masticare. Ma gli amici orgolesi mi hanno subito rassicurato: “Se saputa fare, la pecora, non fa invidia a nessuno! Ci sono delle regole e degli accorgimenti da rispettare e tanta, tanta pazienza”. Infatti quando mi sono trovata davanti al bel caminetto acceso, caldo e confortante, il bel pezzo di carne girava lentamente già da un'ora abbondante. In tutto è rimasta in cottura ben tre ore, seguita attentamente da mani esperte. 

Che piacere assistere a un rituale culinario antico come questo, e non vi dico il profumo che si sprigionava nell'aria!
Come prima cosa, all'inizio del procedimento bisogna fermare il girarrosto in modo che la parte delle costole venga in contatto con la fiamma, per impedire che bruci la pelle, la parte più delicata. E sempre nei primi momenti occorre versare del sale che col calore andrà a indurirsi e a formare una crosticina in grado di bloccare la temperatura esterna così che la carne resti rosata e morbida all'interno. Guai poi a toccarla con lame o coltelli! Si lascia intatta in modo da farle trattenere i suoi succhi naturali. Inoltre non deve girare da subito, al contrario deve stare ferma per assestarsi e rimanere compatta. Ciò ovviamente richiederà lunghe ore di tempo, ma chi ama gli antichi piaceri della tavola sa benissimo che la lentezza è una virtù. 

La procedura dello stiddiare: si prende un pezzo di lardo vecchio (deve avere almeno un anno)...
...si attacca a un'asta di ferro appuntita che lo tiene fermo...

...e lo si mette a contatto con le fiamme per farlo accendere come un tizzone...

...il lardo comincerà a sciogliersi e le gocce (le stiddas, ovvero le stille, le gocce) cadranno piano piano sulla carne...

...così la carne cuocerà per bene dentro e la pelle diventerà croccante e uniforme
E adesso il tocco del maestro: stiddiare il lardo (da stiddia, in sardo, che significa stilla, goccia) ovvero la fase in cui si fa sgocciolare del lardo sopra la pecora. Mi hanno spiegato: “Il grasso del lardo rende la carne ancora più morbida, soprattutto quello che si attacca alla pelle la rende croccante e di un colore uniforme e invitante. Mettiamo solo poche gocce alla volta, il resto sgocciola sotto e non viene assorbito. Inoltre, ma importantissimo, si deve usare un lardo vecchio che abbia almeno un anno”. 

Il fuoco evoca una magia ancestrale, non trovate?
Ho assistito al rituale del lardo che viene fatto stiddiare sulla pecora ed è stato emozionantissimo, come fossero istanti di gioia ancestrale, qualcosa che fa vibrare le tue corde primitive. Lo confesso, avrei voluto provare a tenere in mano la stecca del lardo ma non ne ho avuto il coraggio. Mi sono goduta però la bellezza dei gesti, il profumo dell'arrosto, i colori del fuoco vigoroso e del marrone dorato della carne. 

Un tocco di modernità creativa: invece dell'antico treppiede con spiedo a manovella...gli amici di Orgosolo hanno pensato di riciclare il motore di un tergicristallo e l'ingranaggio di una frizione: una bella idea ecologica!
Una curiosità che mi ha riportato invece alla modernità: un tempo gli arrosti in Sardegna erano fatti con un treppiede e si giravano a mano, con la santa pazienza come ingrediente. Oggi le cose sono cambiate ma non hanno meno fantasia...i miei amici di Orgosolo si sono ingegnati alla grande e hanno inventato lo spiedo del 2000: da una vecchia auto hanno preso dei pezzi ancora buoni e dal motore di un tergicristallo e l'ingranaggio della frizione è nato uno strumento nuovo e perfettamente funzionante. Quando si dice l'arte del riciclo

Guardate che mega cesoie ci son volute per tagliare a pezzi la pecora intera!

Ed eccola in tavola ben tagliata in porzioni adatte a tutti: i bambini l'hanno sbranata!
Terminata la cottura due uomini armati di grandi cesoie hanno provveduto al taglio della carne: i bambini e pure io ci stavamo divertendo da matti! Poi ci siamo accomodati a tavola e la pecora è arrivata da noi ben tagliata in piccoli pezzi e profumatissima, accompagnata da un buon vino rosso fatto sempre a Orgosolo. La carne della pecora era delicatissima, morbida, si scioglieva in bocca e la pelle croccante e sottile.
Il tempo di un brindisi e di uno scambio di sorrisi e la festa della vigilia di Natale era cominciata.

Prima del piatto forte, c'è stato spazio anche per i famigerati ravioli di Orgosolo, ripieni di formaggio pecorino

In una tavola imbandita non manca mai la carta da musica o pane carasau, sottile e croccante

Un'altra specialità della campagna barbaricina: il caglio, ricavato dalla pancia dell'agnello da latte, poi lavato e infine arricchito di latte che lo fa fermentare, è una sorta di crema dal sapore deciso ricchissimo di fermenti lattici vivi.
L'ideale è spalmare il caglio sul pane carasau come una crema
I pistiddu, dolci tipici del paese di Orotelli: sono di una bellezza aggraziata ed elegante che quasi ti dispiace mangiarli, quasi!
Il ripieno dei pistiddu, è fatto di miele, mandorle e scorza di arance, tutto rigorosamente genuino e fatto a mano!


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